AIDHS | ADE | HADES |
Il nome
ADE è di origine greca: AIDHS
è composto dalla radice id
- (id-),
che significa VEDERE, preceduta dall' a
- privativo; significa quindi "posto dove
non si può vedere", LUOGO DEL BUIO. Il termine ha anche significato metaforico,
con cui si intende l'Ade semplicemente come il luogo in cui si ritrovano tutte
le anime dopo la morte. Sin dalla notte dei tempi gli uomini hanno immaginato
l'oltretomba come un luogo sotterraneo e buio, dove non arriva la luce solare.
È così anche per l'Ade greco e latino, per certi versi tra loro
molto simili, ma con percorsi differenti.
La prima rappresentazione
dell'Ade greco ci viene dall'Odissea, in cui Omero
descrive il regno dei morti buio e vuoto, popolato da anime che si aggirano
tristi fra i grigi campi e i pallidi asfodeli, rimpiangendo la vita e la luce
del sole. Tutto è in perfetta contrapposizione al mondo dei vivi: ombre,
notte, morte, profondità e oscurità rappresentano il destino comune a
tutte le anime. L'oltretomba è appunto uno spazio tenebroso all'interno
della terra, posto all'estremo occidente dell'Oceano, con un'entrata e un vestibolo.
Generalmente nei testi mitologici è presente la cosiddetta KATABASIS
(discesa) di alcuni eroi negli Inferi come viaggio iniziatico per conoscere
il futuro della propria vita o quello del popolo di appartenenza, come nel caso
di Ulisse in Omero e di Enea
in Virgilio. In realtà Ulisse sembra che si sia limitato a un'evocazione
delle ombre dei defunti senza percorrere interamente gli Inferi, fermandosi
all'ingresso, come è scritto nel libro XI dell'Odissea.
Le notizie sull'Ade e sulle
divinità infernali lasciate dagli autori successivi
a Omero sono ben più precise della descrizione che se ne fa nell'Odissea,
ma risalgono a un'epoca ben più tarda (V secolo a.C., età classica).
L'Ade fu infatti determinato meglio e popolato da esseri di varia specie, e
si riteneva di poterlo raggiungere dalla terra attraverso profondi baratri:
le caverne presso il Tenaro, come riportato da Apuleio nelle Metamorfosi (L'asino
d'oro) nella fiaba di Amore e Psiche quelle di Ermione e di Colono presso Atene,
e quelle presso Cuma in Italia. L'Ade era inoltre circondato da grandi e spaventosi
fiumi, come lo Stix, di cui invece non vi è traccia in Omero.
L'Ade latino ci viene descritto da Virgilio nel
VI libro dell'Eneide, Luciano nella Storia Vera, Platone nel dialogo Fedone.
Enea discende fino ai Campi Elisi, accompagnato dal padre, per vedere le anime
dei suoi discendenti. L'Ade descritto da Virgilio è molto articolato,
e viene sfruttato da Virgilio per esprimere i destini differenti delle varie
anime, fatto che non trova riscontro in molti testi dell'antichità ed
è del tutto assente in Omero. Nella cultura latina infatti è chiaro
che le anime siano sottoposte a un giudizio ultraterreno in base al comportamento
degli uomini nel corso della loro vita, che corrisponde a una pena o a un premio
nell'aldilà.
La cultura greca al contrario ignorava il concetto della punizione
ultraterrena, poich´ chi aveva peccato contro gli dei riceveva
la sua punizione in vita, che poteva anche abbattersi sui suoi
discendenti; questo concetto fu introdotto solo nel V secolo.
Virgilio, nella sua descrizione dell'Ade fu fortemente influenzato sia
dai testi orfici che da Platone, soprattutto per quanto riguarda la
teoria della metempsicosi (= reincarnazione), secondo la quale le
anime sostano nell'Ade per scontare le proprie pene, alla fine delle
quali possono reincarnarsi in un altro corpo.
L'Ade di Virgilio inoltre ha stretti legami anche con la
società romana per appoggiare la politica di Augusto, mostrando
che tutti coloro che avevano peccato contro lo Stato e la famiglia,
due dei principali obiettivi del princeps, erano stati rinchiusi nel
Tartaro, la parte più profonda e temibile dell'Ade. Anche la stessa
teoria della reincarnazione ha uno scopo ben preciso: permette infatti
di dimostrare la discendenza divina di Augusto, che viene visto da
Enea quando osserva la sfilata dei futuri illustri Romani, suoi
discendenti. Tuttavia Enea, una volta negli Inferi, mostra un
atteggiamento piuttosto distaccato, tanto che pare non provi alcun
interesse per il suo viaggio, che diventa così un po' ambiguo.
Questo è dovuto al fatto che Virgilio fa scendere Enea
nell'Ade perch´ l'itinerario eroico prevede questa tappa; in
realtà egli non lo vede come un eroe del mito, ma come un semplice
mortale (anche se figlio di una dea), che però deve compiere delle
determinate imprese per essere degno e poter svolgere pienamente il
suo compito di fondare una nuova e importante città: Roma. Le
prove che egli affronta diventano così quelle imposte a ogni essere
umano dal destino, dando all'opera di Virgilio un significato diverso
da quello delle opere scritte in precedenza.
Ma Enea e Ulisse non sono gli unici privilegiati a poter scendere nell'Ade e
soprattutto a farne ritorno. Come loro altri personaggi della mitologia hanno
avuto questa possibilità: si ricorda infatti la discesa di Teseo
e Piritoo, la triste storia di Orfeo ed Euridice,
l'eroe greco Protesilao, la peggiore delle fatiche di Ercole, la vicenda
di Alcesti e Admeto, i due gemelli Castore e Polluce.