(da R. Marchese, Piani e percorsi della storia - 3, Milano, Minerva Italica, 2001) Anche sulle implicazioni culturali di Internet il dibattito è molto acceso e, come è avvenuto di fronte ad altre innovazioni tecnologiche, presenta una divaricazione tra previsioni apocalittiche ed esaltazioni acritiche, con una vasta gamma di posizioni intermedie. Vi è chi intravede nella rete, in prospettiva, un’intelligenza collettiva distribuita ovunque e alimentata in tempo reale dalla cooperazione tra tutti gli utenti; una sorta di sistema nervoso dell’umanità, che si avvale delle immense risorse condivise di processi cognitivi (umani e artificiali), memoria interattiva (database, documenti testuali e multimediali), percezione e immaginazione (simulazioni e realtà virtuali, riconoscimento, registrazione e comunicazione a distanza di testi, immagini e suoni). Sul versante opposto, molti denunciano il pericolo di un impoverimento culturale generalizzato, di un livellamento verso il basso dei contenuti e delle forme della comunicazione, favorito dalle logiche di mercato delle grandi concentrazioni multinazionali nel settore dei mass media. In effetti, diversi aspetti del nuovo mondo nato dalla rivoluzione telematica appaiono ambivalenti e si prestano a letture e previsioni contrastanti. L’anarchia di Internet e la relativa facilità di accesso sembrano da un lato allontanare il fantasma di un Grande Fratello (quello della celebre utopia negativa 1984 di George Orwell), di un centro di dominio politico o economico sull’informazione e la comunicazione; d’altro lato, esse comportano una crescita caotica e tumultuosa delle informazioni inviate da milioni di fonti eterogenee, senza alcun filtro. Così, accanto a documenti di interesse e qualità notevoli, si trovano, in percentuale molto maggiore, testi e immagini assolutamente insignificanti o di pessima qualità, una sorta di "spazzatura" elettronica difficile da scansare. L’inondazione di informazioni inutili che travolge l’utente diviene un rumore di fondo che rende faticosa e frustrante la ricerca di risorse utili. L’eccesso di informazione, rispetto alle nostre capacità di recepirla e assimilarla, rischia di tradursi in effettiva povertà di informazione. D’altronde, il Web non ammette gerarchie e ordini stabili, è fluido e indeterminato per natura, in quanto ipertesto planetario sottoposto a un’incessante attività collettiva di scrittura e riscrittura, che ne modifica il contenuto e la struttura. Ciascun sito, ma anche una singola pagina Web, mediante i collegamenti ipertestuali che contiene, introduce un nuovo principio di organizzazione in una regione della rete e apre nuovi percorsi. Per agevolare la navigazione in Internet, a partire dalla metà degli anni Novanta, sono disponibili dei motori di ricerca, programmi intelligenti che censiscono e classificano senza sosta milioni di pagine Web; essi possono essere interrogati da un utente mediante parole chiave, indici sistematici e semplici operatori logici. Ulteriori strumenti di orientamento sono le collezioni di link, i cataloghi e le recensioni presenti in molti siti. Tuttavia, in questo campo come in quello più tradizionale dell’informazione cartacea o audiovisiva, nessun sofware, né alcun ausilio esterno può sostituire le competenze personali richieste per saper cercare, riconoscere velocemente e selezionare ciò che è più rilevante, attendibile e pertinente. Al di là di alcune modeste competenze tecniche, l’effettiva realizzazione delle potenzialità "democratiche" della rete esige un’educazione diffusa e appropriata, che sappia contrastare la divaricazione spontanea tra un’"aristocrazia della rete" e una massa di consumatori passivi. Questo non vale soltanto per la fruizione ma, ancora di più, per la produzione dell’informazione e del sapere, ovvero per l’effettiva partecipazione all’intelligenza collettiva. L’informazione sta assumendo un ruolo strategico nella società postindustriale e sta diventando la merce più richiesta, che le tecnologie digitali permettono di produrre, elaborare, quantificare e distribuire per il consumo, a ritmi accelerati. Se da un lato ha un alto valore, dall’altro l’informazione invecchia e perde valore rapidamente, assieme alle forme di sapere che da essa dipendono maggiormente. In molti ambiti lavorativi e professionali, l’innovazione tecnologica rende obsolete le competenze di ingresso in un arco di tempo assai più breve della carriera di un individuo, al quale viene richiesto quindi un aggiornamento continuo. La separazione tradizionale tra gli anni istituzionalmente riservati alla scolarizzazione e quelli dell’attività lavorativa è destinata a diventare più fluida, a favore di una coesistenza o di un’alternanza continua tra formazione e lavoro. La crescente e mutevole domanda di formazione non può essere completamente soddisfatta dalle risorse istituzionali ("in presenza") della scuola e dell’università, mentre può trovare una risposta almeno parziale nella risorsa telematica della formazione a distanza (FAD), che consente un’alta flessibilità di tempi, la diversificazione di contenuti settoriali e la distribuzione su larga scala a costi ridotti. Le grandi imprese e i centri di ricerca promuovono sistemi di apprendimento cooperativo via rete, con scambio orizzontale di esperienze e competenze, associato all’interazione verticale con formatori e tutor. Alcune università dispongono di campus virtuali per la condivisione in rete di risorse tecnologiche e specialistiche, al di là dei limiti geografici e temporali dell’apprendimento in presenza. Nella ricerca scientifica e tecnologica, o nella professione medica, le attività di reciproca formazione a distanza, se da un lato confermano il predominio economico e scientifico dei paesi avanzati, dall’altro offrono in alcuni casi risorse importanti alle regioni meno sviluppate. Infine, l’integrazione nell’insegnamento tradizionale di momenti di teledidattica e delle risorse disponibili in rete è oggetto di valutazioni contrastanti. Essa sembra implicare una trasformazione del ruolo del docente, che potenzi l’educazione all’autonomia intellettuale e la supervisione di percorsi di apprendimento personalizzati, piuttosto che la diretta trasmissione di conoscenze e informazioni. Alcune perplessità sugli effetti culturali delle nuove tecnologie sono connesse al timore che il libro venga progressivamente sostituito dall’ipertesto elettronico, o la parola scritta detronizzata dall’esuberanza sonora e grafica della multimedialità. La velocità della navigazione in Internet e la logica implicita nella consultazione di un CD-ROM tendono a calibrare l’attenzione di lettura sulla misura esigua di una schermata di monitor, ovvero di pochi capoversi, spesso compressi tra immagini ed effetti grafici di vario genere. La fruizione di un ipertesto multimediale favorisce rapidi percorsi analogici e associativi, mentre non sembra compatibile con i tempi lunghi della riflessione e dell’argomentazione, né con un’eccessiva complessità sintattica e lessicale. Questi condizionamenti tecnologici, che si traducono in regole di stile implicite nell’editoria elettronica e nella comunicazione in rete, comportano rischi concreti di superficialità e di conformismo culturale. In una prospettiva più vasta e a lungo termine, si pone il problema della memoria culturale nella società dell’informazione. La conservazione di testi, immagini, documenti sonori, filmati e archivi di dati è affidata sempre più alla possibilità della loro conversione digitale. Governi, università, editori, associazioni pubbliche e private investono fondi crescenti nella codifica elettronica di intere biblioteche, del patrimonio iconografico dei musei, di archivi fotografici e sonori, giornali e riviste, videoteche e banche dati. La conversione digitale rende tutti questi documenti indipendenti dal loro supporto materiale, immediatamente fruibili in rete, replicabili indefinitamente e immuni dall’usura del tempo. Internet assimila progressivamente il mondo esterno alla rete, diventando un repertorio universale di informazioni, contenuti culturali e prodotti di intrattenimento. Naturalmente, la battaglia tra memoria e oblio non avviene nel vuoto, bensì è condizionata da interessi commerciali e tende a ribadire il predominio dei centri mondiali del potere economico, politico e tecnologico. Piuttosto che sostituirsi ai media classici, Internet ne favorisce l’integrazione reciproca e tende ad assimilarli in un "villaggio globale" della comunicazione esposto alla colonizzazione spontanea da parte della lingua inglese (in genere di una sua versione banalizzata) e degli stereotipi della cultura di massa dei paesi più ricchi. Nella fruizione e soprattutto nella produzione dei contenuti, vi è un netto squilibrio a favore degli Stati Uniti, seguiti a distanza dai paesi europei, mentre sono quantitativamente esigui i contributi dei paesi in via di sviluppo. Tuttavia lo scenario è più articolato e ammette prospettive di evoluzione alternative, sulle quali è difficile avanzare previsioni. Se l’inglese si è inevitabilmente imposto come lingua veicolare in Internet, è anche vero che esso diviene a volte il tramite per la diffusione di lingue e culture differenti, la cui presenza in rete comincia ad essere sostenuta attivamente da molti governi e comunità locali. La stessa struttura aperta di Internet offre la possibilità di espressione a identità culturali anche minoritarie, con sorprendenti contaminazioni tra modernità tecnologica e contenuti tradizionali. L’uniformità e la massificazione dei contenuti sono controbilanciate da quegli stessi fenomeni di diversificazione e personalizzazione dell’offerta che caratterizzano l’evoluzione in atto nella fruizione televisiva (canali tematici, pay per view), rafforzati dal carattere interattivo della rete, dalla sua apertura potenzialmente democratica a soggetti diversi e alla produzione locale. È prevedibile una frammentazione di Internet in ambiti settoriali, divergenti per linguaggi, contenuti e finalità (culturali, di informazione, di intrattenimento, commerciali, di socializzazione, didattiche, politiche e civili). È stato in gran parte ridimensionato il timore che la rivoluzione informatica e telematica implichi a lungo termine la morte del libro e della scrittura. La possibilità tecnica di archiviare centinaia di libri in un compact disc, immediatamente disponibili alla lettura, alla pubblicazione in rete, ma anche a software di ricerca ed elaborazione automatica, appare in effetti piuttosto sconcertante. Ma è del tutto improbabile che il libro venga sostituito dal documento elettronico, se non nel caso delle opere di consultazione (dizionari, enciclopedie, repertori bibliografici). Inoltre, nonostante tutti i gadgets multimediali, la diffusione di Internet ha paradossalmente riaffermato la centralità della scrittura e del testo, soprattutto se paragonata ai mezzi di comunicazione classici (radio, televisione, telefono). Oltre a essere un immenso archivio planetario, Internet è uno spazio virtuale di interazione tra soggetti individuali e collettivi che incessantemente lo alimentano, mediante una rete capillare di flussi comunicativi spontanei che scorrono paralleli alle autostrade telematiche governative e commerciali. Contro i pericoli dello snaturamento "televisivo" e consumistico del Web, ci si richiama spesso all’utopia dei pionieri della rete, ovvero degli studenti, dei ricercatori e dei giovani professionisti delle metropoli statunitensi che, verso la fine degli anni Ottanta, si consideravano come un movimento culturale impegnato nella costruzione di un nuovo spazio comunitario e cooperativo, di una nuova democrazia del sapere. La posta elettronica, le mailing list e i newsgroup consentono la nascita di comunità virtuali strutturate per campi di interesse e assolutamente indipendenti dalla vicinanza geografica; esse permettono di lavorare, apprendere, elaborare testi in modo cooperativo, attingendo a una memoria comune e a un insieme di competenze condivise, senza la necessità di incontri fisici o di una simultaneità temporale. Anche la rigida separazione tra i ruoli tradizionali dell’autore e del lettore viene attenuata dalla fluidità strutturale degli ipertesti in rete, che spesso si presentano come un’opera aperta, frutto di un processo di scrittura e lettura collettiva. La stessa tecnologia che tende a rinchiudere gli utenti nel loro spazio domestico, ad esempio con il telelavoro o con una fruizione passiva della rete, favorisce dunque nuove occasioni di socialità. La comunicazione attraverso la posta elettronica o i gruppi di discussione moltiplica i contatti, integrandosi con viaggi reali e incontri fisici. Vengono ridefinite le nozioni abituali di luogo, incontro e comunità: all’interazione reale con il territorio, si intreccia una geografia virtuale che sostituisce le distanze fisiche con la maggiore o minore lentezza delle linee di trasmissione; gli incontri e la cooperazione avvengono tra soggetti virtuali identificati non dalla posizione fisica, ma dal loro indirizzo "logico" nella rete, alla quale possono accedere indifferentemente da qualsiasi luogo. Le caratteristiche tecnologiche di Internet sono compatibili non soltanto con una feconda integrazione tra mondo virtuale e mondo reale, ma anche con la loro esasperata contrapposizione: la rete offre possibilità di evasione in un’"altra vita", di un salto nell’immaginario della propria identità elettronica, con forme di dipendenza a volte patologiche dalla navigazione in Internet e dall’interazione con le comunità virtuali. Nei canali di chat e nei giochi di ruolo in rete, è possibile assumere identità fittizie nella forma di uno pseudonimo (nickname) o di un simbolo grafico (alias o avatar), alterando i propri dati reali (età, sesso, professione, status, aspetto fisico). Mediante queste identità fluttuanti e immateriali, liberate dalla fisicità del corpo e dai condizionamenti del ruolo sociale e familiare, ci si trasferisce in uno spazio extraterritoriale che trascende le convenzioni sociali e può indurre sensazioni oniriche di onnipotenza. Alcuni vedono in questi fenomeni l’ultima manifestazione di quella frammentazione del soggetto che caratterizza la cultura e la società contemporanee. La protezione garantita dall’anonimato invita a sperimentare ed esprimere aspetti della personalità che sembrano inconfessabili nella vita reale (ad esempio assumendo un’identità sessuale che non è, o non si pensa che sia, la propria). Ne derivano spesso forme di trasgressione piuttosto scontate: uso del linguaggio osceno, forte aggressività, espressioni di razzismo e sessismo. Molte comunità virtuali tendono a chiudersi su se stesse, come piccole sette autoreferenziali, sviluppando riti di iniziazione e di esclusione del diverso, norme rigide di comportamento e di galateo di rete (netiquette). Tutte le forme di comunicazione spontanea in Internet rafforzano il ritorno alla pratica diffusa della scrittura, ma si tratta di un nuovo genere di scrittura. Per supplire all’assenza delle risorse comunicative dell’interazione faccia a faccia (gesto, tono della voce, mimica), si è sviluppata una tradizione di segni testuali e grafici che hanno lo scopo di esprimere emozioni. Abbreviazioni, sigle ed espressioni gergali che indicano gioia, tristezza, ironia, rimprovero; oppure segni grafici che compongono piccole icone di espressioni mimiche stilizzate (emoticons: emotions + icons). L’uso di questi surrogati della comunicazione orale è ampiamente diffuso anche nella posta elettronica, sia come abbreviazioni indotte dalla generale euforia della velocità, sia come gergo che rafforza il senso di appartenenza alla cultura della rete. L’effetto generale è la tendenza a una comunicazione stereotipata, ma anche l’affermazione di un inedito stile espressivo, intermedio tra oralità e scrittura (alcuni l’hanno definito "oralità scritta"). |