Nel corso del 2000 sono state rilasciate tecnologie che modificheranno in modo radicale il sistema dell’editoria. Come sempre, quando una tecnologia nuova è disponibile il problema non è se sarà implementata, ma dove e quando. È importante occuparcene qui perché le ricadute sul mercato librario e sui processi formativi saranno di notevole rilievo. Il libro di carta e quello di bit La grande familiarità che abbiamo con i libri rende trasparente l’estremo livello di complessità tecnologica e il processo di sviluppo millenario che li hanno resi possibili. Un libro è un oggetto estremamente evoluto, confortevole ed efficiente. Garantisce un altissimo livello di leggibilità. Grazie alla tecnologia del libro, la lettura è un’esperienza immersiva capace di tenerci avvinti per ore. Il libro funziona catturando la nostra attenzione e si appoggia a capacità primarie strettamente connesse alla fisiologia, alla psicologia, alla percezione elementare che, in origine, sono state messe a punto per la sopravvivenza. La visione è una funzione essenziale, incessante ed automatica, che ha preceduto la comparsa sulla terra dell’umanità. In tre milioni di anni, il nostro cervello ha sviluppato una grande abilità di riconoscimento dei modelli visivi, cui è dedicata metà della corteccia. Su questa capacità di discriminazione fine delle impronte visuali sono state costruite la scrittura e la lettura. La stampa si è perfezionata per cinque secoli ed è diventata un’arte in grado di produrre oggetti capaci di modificare il nostro stato di coscienza, fino alla trance ipnotica (chiunque abbia avuto in mano un libro di cinquecento anni fa, e fosse pure un’aldina, sa che non funziona bene come quelli di oggi, dal punto di vista tecnico, e per quanto fascino possa avere). Questo è possibile perché il libro ha una interfaccia utente estremamente semplice e funzionale che è in grado di azzerare ogni distrazione (le "distrazioni" dal libro vengono da fuori, non da dentro il libro) ed attivare una interazione forte tra il lettore ed il testo. I libri si usano tutti allo stesso modo. Bastano pochi gesti elementari, gli stessi per tutti i volumi, di ogni formato, rilegatura, carattere di stampa, dimensioni, contenuto. Un bambino di pochi anni, che non sa ancora leggere, è in grado di compiere le azioni necessarie a maneggiare un libro. Un libro è un oggetto assolutamente ergonomico. Lo si trasporta con grande semplicità. Può essere tenuto in una sola mano (i minuscoli di Hoepli, i classici di Zanichelli, poniamo), o in una tasca. Si può leggere dappertutto: in treno, in aero, in spiaggia, a letto, in un bosco, in metropolitana. Per leggere un libro è necessario un dispendio di energia minimo. Durante la lettura, si consumano più o meno le stesse calorie che dormendo. L’uso di un libro richiede soltanto una fonte di luce. Quella del sole è perfetta, ma vanno benissimo una candela, un lume, una lucerna. A pensarci, però, ci sono anche degli svantaggi, nella tecnologia del libro. È un oggetto che si rovina con relativa facilità (esistono istituti per la patologia del libro, e sono molto indaffarati); gli insetti, l’umidità eccessiva, un clima troppo secco accelerano i processi naturali di degrado della carta, che ha comunque una durata limitata. Gli inchiostri sbiadiscono nel tempo; il dorso si scolla, le cuciture si rompono. Seneca in una delle lettere a Lucilio ha scritto che una quantità eccessiva di libri è un limite (Distringit librorum multitudo). Non sono sicuro che avesse ragione, ma molti libri fanno certamente un peso notevole. Traslocare con una piccola biblioteca di tremila, quattromila volumi al seguito è un problema abbastanza grosso. Una parola definitiva, a riguardo, potrebbero dircela i nostri alunni, che carrucolano libri avanti e indietro da casa a scuola e viceversa per molte tonnellate complessive (10 kg al giorno per 200 giorni fanno 2 tonnellate; dalle elementari alla fine della secondaria le tonnellate diventano 26). I libri prendono molto spazio. Benedetto Croce, che ne sapeva qualcosa, lasciò la prima casa di via Chiaia per due ragioni: era un poco umida, e i libri gli si rovinavano; soprattutto, era troppo piccola per contenerli tutti. Per essere sicuro di non aver di nuovo lo stesso problema, comprò palazzo Filomarino (proprio quello in cui Giambattista Vico era stato precettore) e si sistemò lì. Per quanto grande, quel palazzo adesso è pieno di libri per metà. La British Library compra ogni anno diciotto chilometri di scaffali nuovi e ormai le sue sedi sono distribuite qua e là per tutta Londra. La gestione di un gran numero di libri è una faccenda molto complicata. Chi ha frequentato la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma lo sa molto bene. Una biblioteca relativamente piccola, di cinquantamila, sessantamila volumi è già troppo grande per essere controllata. Benedetto Croce spese gli ultimi due anni della vita per redigere un grosso catalogo in due tomi della propria biblioteca privata e, per l’occasione, sentì la necessità di acquistare ed imparare ad usare una macchina per scrivere. Catalogare i libri è un lavoro che richiede grande precisione e molto ordine. Un libro non può essere riprodotto con gli strumenti che il lettore ha, di solito, a disposizione. Se si rovina va ricomprato, e non è sempre possibile (la disponibilità dei libri sul mercato editoriale è un problema serio; quando una edizione si esaurisce, bisogna aspettare che sia ristampata, e magari passano anni). Le fotocopie sono una approssimazione rozzissima e di pessima qualità rispetto al libro; tra l’altro, durano molto meno. Soltanto una casa editrice specializzata può realizzare veri libri. La produzione di un libro richiede investimenti notevoli. Questo è un limite importante alla possibilità, per gli autori specialmente se giovani o poco "commerciali", di raggiungere i lettori. Il processo mediante il quale un testo è pubblicato e "reso libro" è sottoposto a molti filtri. Un libro è un oggetto lineare e sequenziale. Non può essere utilizzato diversamente, salvo il caso dei libri d’arte, delle raccolte di testi letterari e delle enciclopedie, che scorrendolo parola per parola e riga per riga. Per quanto Bohumil Hrabal abbia teorizzato la lettura obliqua, nessuno legge per davvero obliquamente; se mai, per linee oblique è possibile una rilettura, ma sostenuta dalla traccia memoriale della prima lettura sequenziale. La lettura lineare va benissimo nel caso dei racconti, lunghi o brevi che siano, e gli scrittori di gialli l’hanno messa a frutto in maniera eccellente. Non va bene affatto nel caso dei manuali, dei testi tecnici, di riferimento e di molti testi scientifici, che debbono essere consultati piuttosto che letti, e per questo sono dotati di numerosi e complicati indici e sommari. Un libro non è un oggetto personalizzabile, dal punto di vista materiale. Salvo attaccarci un ex-libris, nessuno che se ne intenda un po’ sottolinea o, peggio ancora, evidenzia qua e là i luoghi che gli paiono significativi durante quella particolare lettura ed in quel particolare stato di coscienza. Sarebbe necessario e opportuno redigere coscienziose schede di lettura dei libri destinati allo studio, ma è una attività che richiede moltissimo tempo. Un libro è un oggetto chiuso. Non può essere modificato né aggiornato se non per via di una ristampa, che richiede comunque tempi di lavorazione lunghi ed investimenti notevoli. Non può essere adattato al destinatario (per questo, chi scrive deve avere in mente una immagine di lettore ideale che non sempre, o di rado, coincide con il lettore effettivo). Per i libri di testo, è un limite enorme. Se fosse possibile realizzare libri elettronici, molte delle
limitazioni materiali dell’oggetto libro com’è adesso verrebbero
meno. Un "libro di bit" può essere prodotto in tempi molto
più brevi rispetto ad uno di carta e richiede investimenti
minori. La produzione può essere decentrata, ed affidata
all’autore senza l’intermediazione dell’editore/stampatore. La
distribuzione, viceversa, può essere centralizzata con
grandi vantaggi economici e pratici. Per la scuola, il libro elettronico è uno strumento di grande valore didattico. Può essere prodotto dagli insegnanti secondo le necessità della comunità in cui opera il loro istituto e distribuito agli alunni a costi molto bassi (la spesa per i manuali impegna grandi risorse, una parte delle quali può essere liberata e destinata a fini di maggior utilità sociale). Può essere adattato e modificato su misura degli alunni con necessità formative speciali. Consideriamo, per un esempio, i manuali di storia, dei quali siamo tutti, per una ragione o per un’altra, estremamente insoddisfatti. La storia come la pratichiamo è una disciplina nata in circostanze sociali ed economiche bene determinate in cui l’attenzione alle entità statali e nazionali aveva un ruolo centrale. La situazione attuale è molto mutata. Ciascuno di noi vive almeno in cinque dimensioni geografiche e culturali: quella sovranazionale, che i processi di globalizzazione dei mercati e l’apertura comunicativa realizzata mediante la Rete telematica stanno accentuando ogni giorno di più; quella federale europea, in corso di progressivo e sicuro consolidamento; quella nazionale, che rimane centrale almeno a livello istituzionale; quella regionale, che non è mai stata soffocata dal centralismo post-unitario; quella della comunità locale (il piccolo o medio centro urbano, il quartiere della grande città), che per molti ha un significato maggiore delle altre. Inoltre, nella nostra società e nelle nostre scuole è sempre più forte la presenza di studenti di origine diversa che quella italiana. Nei manuali in uso si tiene conto della dimensione europea e specialmente della italiana, con timide aperture verso quella mondiale. Tutte le altre sono ignorate. Nessuna attenzione all’orizzonte regionale ed a quello locale; nessuno spazio per le culture di origine delle comunità di recente immigrazione, che subiscono un violento processo di sradicamento e spersonalizzazione. C’è, invece, ed è forte ed urgente, la necessità di corrispondere alla richiesta di tutelare e porre in valore la conoscenza delle realtà locali e regionali (anche L’UNESCO ha più volte lanciato un preoccupato allarme sul pericolo della globalizzazione e massificazione delle culture e delle lingue, oltre che dei mercati). La scuola è servizio ad una comunità, e in questo servizio deve avere un ruolo significativo la conoscenza della storia del territorio in cui quella comunità vive e lavora, e perciò della comunità in se stessa. Molti nostri studenti si affaticano assai a imparare il possibile sulle civiltà istituzionalmente riconosciute degne di storia, e viceversa magari non vanno neppure a visitare il nuraghe, poniamo, che sta a venti chilometri da casa loro. Studiare la storia del territorio in cui si vive non ha soltanto un valore di conoscenza e di tutela ambientale, archeologica, culturale. Ha un significato progettuale, e perciò economico, che può essere decisivo. (1) Produrre un manuale di storia fatto di carta che sia modulare al punto da poter essere progettato e realizzato in fascicoli dedicati a ciascuna delle dimensioni in cui si svolge la nostra esistenza, e rimontato in base alle esigenze di ogni istituto e di ogni classe (le origini degli alunni immigrati sono le più diverse) è praticamente impossibile. L’editore si troverebbe ad affrontare una quantità gigantesca di problemi tecnici ed organizzativi (già adesso è necessario rendere disponibili i dati sulle adozioni dei libri di testo sei mesi prima della effettiva distribuzione in libreria). Se usiamo libri di bit, che possono essere prelevati via Internet, costruiti e modificati secondo necessità specifiche, diventa estremamente semplice mettere insieme manuali di storia attenti anche alla dimensione regionale e locale secondo le esigenze di ogni istituto, classe e, al limite, alunno. Se compro un libro di carta, il libraio deve ordinarne un altro dal magazzino del distributore regionale, il quale deve rivolgersi all’editore che, per evitare di mandare al macero un numero troppo altro di copie invendute, è costretto a tenere una contabilità rigorosa ed a tracciare previsioni che di rado colgono nel segno. Se si "apre" il libro e lo si rende modulare, gli editori non sono più in grado di controllare e gestire il sistema. Di contro, se prelevo i moduli di cui ho bisogno dal Web e li scarico su un computer (o su un dispositivo specializzato per la lettura), l’originale (diciamo così) rimane al suo posto ed è sempre disponibile. Se usiamo i libri di bit, i ragazzi si trovano tra le mani uno strumento molto agile, efficiente e, soprattutto, aperto, che consente sistemazioni ed analisi non sequenziali. Immaginiamo uno scenario: gli alunni arrivano in classe ed hanno in borsa un portatile che pesa due chilogrammi (o un pocket pc, che pesa mezzo chilogrammo). Entrambi costano molto meno che tutti i libri convenzionali da acquistare nel corso di un curriculum scolastico. Collegano questo dispositivo alla rete della scuola (per inserire un connettore RJ45 basta un gesto), ricevono dall’insegnante una copia del testo da studiare (un canto della Divina Commedia, poniamo) e sono pronti per lavorare. All’interno di quel testo, possono praticare molti tagli di lettura diversi. Un esempio: l’analisi delle occorrenze della parola "poeta" nella Divina Commedia, che è molto istruttiva. L’insegnante, a sua volta, può prelevare e salvare nella propria macchina i lavori degli alunni, leggerli con tranquillità, e automatizzare molte operazioni banali (la creazione di un database dei risultati ottenuti sarebbe estremamente semplice). Altro scenario: lo studio di un segmento di storia. Poniamo il Neolitico. L’insegnante può distribuire agli alunni la copia elettronica di un manuale generale e un modulo di lavoro elaborato dalla scuola sulle risultanze maggiori del Neolitico nel territorio in cui opera. Un alunno di origini nord-africane riceve un testo sulle civiltà neolitiche del Sahara. Terzo scenario, marginale rispetto all’argomentazione principale ma non inessenziale: la distribuzione di questionari. Con la carta è una faccenda abbastanza laboriosa: il questionario va preparato, stampato, fotocopiato, distribuito, raccolto, corretto. Non è facile costituire un archivio storico dei risultati ottenuti, e neppure una banca di dati che semplifichi il lavoro degli insegnanti e consenta la standardizzazione dei processi valutativi. Se usiamo questionari e test "di bit" diventa tutto molto più immediato, economico e trasparente. Leggere a video E allora, se i vantaggi sono così numerosi, perché insieme ai libri di carta non ci sono in giro libri di bit? È che tutti detestiamo la lettura sullo schermo. Più amiamo i libri, o abbiamo con loro una lunga familiarità, più troviamo fastidioso leggere sul monitor un testo elettronico. La chiave del problema è la leggibilità. Le tecnologie software (HTML, Web in generale, perfino .pdf) e hardware correnti non sono ancora soddisfacenti. Funzionano benissimo per reperire informazioni, non per leggere nel senso tradizionale. I testi sul Web li scorriamo, ma non li leggiamo per davvero. Sul Web ci sono molti altri elementi, oltre i caratteri e lo spazio fisico, che distraggono: barre, colori, menù, banner, nei casi peggiori oggetti in movimento. È necessario scrollare su e giù per il testo e compiere gesti molto diversi e molto più complessi rispetto a quelli necessari per usare un libro di carta. Se la connessione cade, ci si deve interrompere e aspettare il tempo necessario per attivarla di nuovo. Una lettura immersiva non è possibile. Un computer è un oggetto pesante, per quanto portatile sia. Per funzionare, ha bisogno di energia elettrica. Anche i migliori laptop hanno un’autonomia di poche ore. Con un computer non puoi leggere dappertutto. Non sull’aereo, se è collegato ad un lettore di CD-ROM; non sulla spiaggia; soprattutto, non a letto. Imparare ad usare un computer è una faccenda molto più complessa che imparare ad usare un libro. La difficoltà più grande della lettura sul monitor è comunque la risoluzione, da 5 a 35 volte più bassa che nei libri di carta. Per una lettura agevole, il riconoscimento dei caratteri deve essere immediato, naturale, spontaneo. La risoluzione dei monitor attuali, anche dei migliori, non è neppure paragonabile a quella di un libro. I caratteri descritti a video da singoli pixel sono troppo sottili; quelli di due pixel troppo spessi. I pixel sono quadrati, e i caratteri hanno i bordi irrimediabilmente scalettati. Sicché, Internet è stata fino ad ora piuttosto uno strumento di marketing del libro di carta, una vetrina a basso costo efficace e pervasiva per editori piccoli e grandi, ma non un vero canale di distribuzione. Esistono, certo, progetti di digitalizzazione e distribuzione sulla Rete di testi che non sono, in senso proprio, libri (e-texts, difatti). Queste iniziative, che hanno grandi meriti (penso soprattutto al Gutemberg Project (3) e alla associazione liberliber) (4), rendono disponibili in ASCII puro materiali liberi da diritti di autore, i quali scadono trascorsi 50 anni dalla morte. Gli e-texts hanno il vantaggio di funzionare su qualsiasi piattaforma informatica. Purtroppo, sono così scarni, poco distinti, difficili da maneggiare che è praticamente impossibile leggerli per davvero. In anni trascorsi, sono stati messi a punto e rilasciati lettori di e-texts (e-texts readers) che non hanno migliorato di molto la situazione. Nel corso del 2000 sono state elaborate tecnologie che rendono possibile produrre, distribuire e, soprattutto, leggere libri di bit. Ne ho seguito lo sviluppo passo passo. Le ho messe alla prova su me stesso, e non solo. Funzionano benissimo. Non ero mai riuscito a leggere tutto intero e per davvero un libro sul monitor, prima. Con gli e-books è tutta un’altra faccenda. Ho riletto i due volumi dei Tales di Poe d’un fiato, come fossero libri di carta. Siamo tutti d’accordo sul fatto che chi si guadagna da vivere scrivendo è meglio continui a riuscirci. Da questo punto di vista, gli e-books creano più problemi di quanti ne risolvano. Un libro di bit può essere riprodotto molto facilmente e senza difficoltà. Gli e-books avranno un futuro, e su questo nessuno ha dubbi. Sarà un futuro migliore se, insieme alla distribuzione libera da diritti, o soggetta a licenze che consentono l’uso gratuito a scopi di studio, ma non di commercio (5), renderanno possibile la protezione da copia dei testi commerciali e consentiranno agli autori, se lo desiderano, di ricavare dal proprio lavoro un compenso. I diritti dell’autore, in ogni caso, possono essere tenuti distinti dal copyright in senso stretto, che è un diritto di copia stato, in origine, sollecitato più dagli stampatori che dagli scrittori. Le tecnologie disponibili per la produzione di e-books utilizzano modalità diverse di protezione, che vedremo una per una nel corso degli articoli successivi. Realizzare un e-book è estremamente semplice. Nei capitoli successivi di questo breve testo impareremo insieme come si fa. Gli autori sono in grado di produrre e distribuire sulla Rete e-books senza passare dagli uffici e dalla tipografia dell’editore. La protezione dalla copia indiscriminata è una questione un poco più complessa. Nei prossimi giorni passeremo in rassegna e valuteremo insieme le tecnologie di produzione, distribuzione e fruizione degli e-books. Per me, sono convinto che si tratti di una rivoluzione epocale, di significato comparabile alla stampa a caratteri mobili, che modificherà in modo sostanziale le modalità dell’oggetto libro che abbiamo così tanto familiari ed avrà ricadute economiche di grande rilievo. Sono molto curioso di sapere cosa ne pensano i carissimi (e, naturalmente, venticinque ;-)) lettori che frequentano questo sito.
1) Queste considerazioni sui manuali di storia sono state sviluppate a seguito di una illuminante chiacchierata con il prof. Mario Liverani, dell’università di Roma "La Sapienza", al quale debbo un risarcimento. 2) Ad Luc. I, 2 |